PANDEMIA: RIPENSARE IL FUTURO

PIERO ANFOSSI

Il grido di allarme che rimbalza in ogni parte del mondo per un patrimonio naturale sempre più a rischio, viene enfatizzato solo durante riunioni dei “Grandi della terra”, salvo poi rimanere inascoltato. La foresta amazzonica che brucia in continuazione, come pure gli incendi che recentemente hanno devastato ampie zone boschive in Australia e in California, sono segnali che suscitano grande impressione e preoccupazione in tutti coloro che hanno a cuore il futuro del Pianeta. Contestualmente, l’avanzare della desertificazione e la progressiva mancanza d’acqua che attanagliano non soltanto le regioni a cavallo della fascia tropicale, conseguenza del riscaldamento globale, prospettano scenari futuri ben peggiori di quanto non stia provocando la pandemia da Covid 19. A fronte di tali stravolgimenti globali, nonostante tutte quante le nazioni siano invitate ad agire all’unisono per contenere le emissioni nocive in atmosfera, il risultato fatica ad andare oltre le dichiarazioni di intenti, con una ormai cronica perdita di tempo prezioso, rispetto agli interventi improrogabili che si è deciso di mettere in atto. Ancora troppe grandi nazioni, prigioniere di un’economia di mercato che tutto decide, muove e distrugge, temono di restare indietro nella corsa alla crescita economica. Poco importa se altri paesi invece rimangono sempre più schiacciati da un’economia di mercato ormai fuori controllo. La prova, se ve ne fosse bisogno, appare evidente nella iniziale titubanza di molti governi, ad adottare misure tempestive di contenimento del contagio da coronavirus, quando l’esempio di nazioni come Cina, Corea e Italia dove la pandemia ha colpito per prima e pesantemente, doveva metterli in guardia. A prevalere ancora una volta sono stati i possibili riflessi economici, come si è potuto constatare a Londra e New York, dove salvaguardare gli interessi economici diventa prioritario rispetto alla salute dei cittadini.

Sembra invece che la natura reagisca ai cambiamenti con molta più decisione di quanto la presunzione umana possa immaginare. Se troppi governanti hanno sottostimato le conseguenze della pandemia, per contro vi sono segnali di una natura viva e reattiva che lasciano ben sperare. Mi riferisco in particolare alla risposta di una natura che si riprende i suoi spazi, in un ambiente pesantemente sfruttato, per non dire soffocato dall’ingombrante presenza delle attività umane. Basti osservare quanto sta accadendo un po’ ovunque in Italia, dove si sta registrando una riduzione dei livelli di inquinamento dell’aria, come pure delle acque, in seguito alle restrizioni in atto. Ad esempio, l’avifauna normalmente confinata nei parchi delle nostre metropoli, inizia ad esplorare zone abitualmente tra le più trafficate, dove fino a ieri era improbabile la sua presenza. Gruppi di delfini sono stati avvistati in acque portuali, come avvenuto a Trieste, uno tra i più importanti scali marittimi italiani per traffico merci. Intanto a Venezia, nelle acque dei canali ritornate trasparenti come non si ricordava da tempo, si possono scorgere banchi di pesci spingersi dove, fino a poco tempo prima, il continuo andirivieni di vaporetti e motoscafi rendeva la loro presenza praticamente impossibile. Si tratta certamente di piccoli segnali, che però hanno un significato importante: ci indicano che non tutto è perduto. Se è praticamente impensabile bloccare tutte le attività umane, in una società sempre più industrializzata e globalizzata, è necessario ed improrogabile almeno tentare di ridurne gli effetti nocivi. Il dramma che stiamo vivendo ed i pesanti strascichi che avrà sull’economia mondiale, saranno ben poca cosa a fronte della catastrofe a cui andrà incontro l’umanità, se non vengono prese contromisure puntuali e immediate per ridurre l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo.

A corollario di questo scritto, si suggerisce la visione del filmato presente sul Sito, dal titolo: LETTERE DAL VIRUS.