Le parole sono importanti

Enrico Martini

La maggior parte dei giornalisti italiani, a mio giudizio, è involontariamente impegnata in una crociata volta a banalizzare la nostra bella lingua, così ricca di vocaboli: da un lato un esagerato ricorso all’impiego di termini stranieri, in prevalenza inglesi (perché a proposito di un torneo parlare e scrivere di “final eight” anziché di “quarti di finale” e “final four” invece di “semifinali”?); dall’altro l’uso di un termine banale quando ne esistono numerosi altri che meglio individuano le caratteristiche di ciò di cui si sta parlando. Un solo esempio: la parola “importante” può essere impiegata per designare un qualcosa di grande, grosso, alto, ampio, lungo, largo, esteso, ingente, voluminoso, massiccio, robusto, cospicuo, notevole, ripido. Scusate, che senso ha parlare di uno scalino “importante”?

Tutti noi sappiamo che esiste sul mercato un marchio di auto di dimensioni minime, ideale da impiegare in città (quanto meno nelle intenzioni dei costruttori), date le ridottissime dimensioni: il suo nome è SMART.

Quanti di noi si sono incuriositi e hanno consultato un dizionario per conoscere il significato del termine inglese “Smart”? Ben pochi, ritengo. Io sono ficcanaso per natura e quindi l’ho fatto. Smart, in inglese, per quel che ne so io, può assumere 21 significati diversi, alcuni simili tra loro: forte, acuto, pungente, astuto, furbo, sveglio, abile, accorto, scaltro, arguto, bravo, severo, dritto, bello, brioso, frizzante, impertinente, aspro, mordace, doloroso, cocente. Altro esempio: il verbo “to get” ha una quindicina di risultati, che venga usato come verbo transitivo o intransitivo. Lingua scarna, lasciatemelo dire, l’inglese, se paragonato alla ricchezza dell’italiano.

Parlando di “Smart” e impostando il mio discorso su base lessicale, vi ho portato fuori strada, vi ho fatto uno scherzo: riferendomi all’automobile così battezzata, “Smart” è l’acronimo di Swatch-Mercedes ART (“Swatch” è il nome di una ditta di proprietà di un miliardario statunitense, Nicolas Hayek). Comunque che in inglese “smart” significhi, in particolare, brioso e sveglio, non guasta.

Applichiamo all’ambiente la mia pignoleria: quanti conoscono il significato preciso del termine “ecosistema”? Ho sentito parlare di “ecosistema Italia”, “ecosistema Alpi”, “ecosistema mare”, “ecosistema deserto” (quest’ultimo a proposito del Sahara), tanto per fare solo quattro esempi. Si chiama ecosistema l’insieme di un tipo di ambiente con peculiari caratteristiche (“habitat”), che ospita popolazioni animali e vegetali (“biocenosi”), specifiche proprio di quel tipo di ambiente. Storcete il naso a proposito dell'”ecosistema deserto del Sahara”? Vi servo subito. Nel Sahara i tipi di deserto sono tre: “Hammada” (deserto roccioso), “Serir” (deserto ciottoloso), “Erg” (deserto sabbioso), quindi tre habitat, tre biocenosi, tre ecosistemi in varia misura differenti. Con le dovute proporzioni questa distinzione si può applicare a numerosi altri casi analoghi sulla superficie terrestre.

Un altro esempio di banalizzazione è l’abuso del termine “foresta” impiegato spesso, in Italia, in modo generico e approssimativo, per definire un “bel bosco”. In base a quali parametri un bosco può essere definito “tanto bello” da meritare l’appellativo di “foresta”? Quando è caratterizzato dalla presenza di alberi alti? Quanto alti? Di alberi addensati? Quanto addensati? Di alberi in ottime condizioni di salute? Tutti o in una certa percentuale? E in quale percentuale? Le definizioni devono essere precise, non soggette a scelte basate sulla soggettività di chi le compie.

La distinzione ecologico-fitogeografica tra bosco e foresta si basa sull’altezza raggiunta dagli alberi a maturità: se gli alberi, più o meno, raggiungono la medesima altezza, si deve parlare di boschi; se le chiome arboree sono pluristratificate (da due a cinque strati di chiome arboree sovrapposte) si deve parlare di foreste. Rispettando queste definizioni, le foreste sono proprie della fascia equatoriale, almeno finché l’Homo sapiens sottospecie sapiens non sarà riuscito ad incendiarle e distruggerle tutte!

Arrivederci a presto. Ho già in mente un “Internet: grano e … segale cornuta“.